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L’arte del colore agli occhi di decoratori contemporanei italiani

La creazione dei colori è parte essenziale della direzione stilistica di Leo Camerini.

[ Questa intervista è disponibile in lingua Italiana e Inglese ]

La creazione dei colori è parte essenziale della direzione stilistica di Leo Camerini. È un percorso di studio, che parte dalla ricerca di nuove ispirazioni, e di prove, animate da innumerevoli tentativi volti all’ideazione di nuove combinazioni di colori.
Oggi, siamo andati a trovare Fabscarte, un atelier di eccellenza a Milano, che crea opere su carta e decorazioni pittoriche fatte a mano destinate agli arredamenti più sofisticati e distinti.
La comunanza tra Leo Camerini e questi artisti-decoratori è data proprio dall’attenzione alla creazione di colori che permettono al prodotto finale di distinguersi nei rispettivi mercati.
Insieme a Luigi Scarabelli, uno dei fondatori, impariamo quali sono i punti fermi del pensiero di Fabscarte e scopriamo alcuni secreti sulle colorazioni manuali contemporanee.

LC: Quando penso ad un nuovo colore, prima di tutto immagino il modello di borsa a cui destinarlo. Ogni modello può avere determinate colorazioni a seconda dei suoi utilizzi futuri. Nella definizione dei colori delle vostre opere, adottate un approccio più emotivo ponendo attenzione alla psicologia sottostante oppure più pratico, volto a rispettare lo scopo dell’ambiente che andrete a decorare?

LS: Quando affrontiamo la preparazione di un nuovo prodotto, che sia carta o anche su muro, il nostro approccio può essere un approccio psicologico-emotivo quando facciamo dei campioni e dei prototipi, senza un oggetto preciso a cui andrà destinato. Quindi quando facciamo un lavoro di questo genere è più una creazione artistica, che poi modelliamo per farla diventare vendibile. Però all’inizio del processo creativo non poniamo limiti funzionali per non ostruire la fluidità creativa. In un secondo tempo, fatto il getto della creazione, razionalmente la strutturiamo in modo che possa essere fruibile.
In un altro caso, invece, quando il cliente ci chiama per un ambiente, è ovvio che la priorità è l’ambiente stesso. Banalizzando, è un po’ come se un cliente vuole vestirsi per andare a cavallo, non gli si può fare uno smoking, ma gli si farà un vestito da cavaliere assolutamente personalizzato, fatto su misura.
In questo caso parliamo di carte, però assolutamente consone all’ambiente.

LC: Con o senza luce, l’occhio umano vede sempre uno o più colori. La luce è un elemento fondamentale per la vivibilità di uno spazio interno. Quali tecniche usate per graduare la luminosità dei vostri colori e come li bilanciate tra di loro?

LS: La luce è sicuramente l’aspetto fondamentale. Noi facciamo lavori in tutto il Mondo e quindi in ogni parte del Mondo c’è una luce particolare. Una volta fatti i campioni, poi si deve andare sul posto a verificare se quelle cromie funzionano in quel determinato luogo.
Per quanto riguarda le tecniche usate per graduare la luminosità, ci riferiamo al maestro in assoluto, che è la Natura. Nulla come la Natura riesce a graduare ed armonizzare i colori. Bisogna conoscere la teoria del colore e, più che la teoria, la pratica perché certi colori stanno assieme in un determinato modo se, se ne conoscono le variabili. Comunque, nelle nostre creazioni i colori non sono mai piatti ma sono normalmente velature, come si faceva nei tempi antichi. La velatura dà o una profondità o una sfumatura dei diversi gradi di chiaro-scuro del colore stesso, come la Natura fa. Se si guardano le foglie di un albero non sono tutte dello stesso verde: sotto appaiono in un certo modo, a seconda della luce, però sono armoniose perché sono fatte dall’estremo genio che è la Natura.

LC: Oltre ai colori, vi dedicate alla lavorazione della materia prima, la carta. Quest’ultima non sembra un mero supporto ai colori, ma fa parte di un connubio che determina l’unicità della creazione finale. Quali sono i punti più delicati nella preparazione dei colori a seconda del tipo di carta che utilizzate?

LS: Sicuramente non è un mero supporto, ma fa parte della struttura stessa in quanto crea una materia. Noi creiamo delle veline crespate e queste increspature fanno sì che aiutino la tridimensionalità. Chi dipinge sa bene che un effetto trompe-l’œil può essere creato a pittura e può essere aiutato con una materia. Noi usiamo queste veline crespate di carta proprio per creare questa materia. È chiaro che tecnicamente poi bisogna fare delle prove con i vari assorbimenti, a seconda delle carte. Il bello di questo tipo di lavorazione è che a volte si hanno delle idee e si vanno a verificare nel lato pratico; a volte ci si lascia trasportare dall’intuito. Basta essere presenti con la propria parte profonda di sé. La cosa importantissima è osservarsi; lasciarsi andare e osservare quello che succede, perché a quel punto non esistono errori. Da un errore può venir fuori un’idea migliore di quella che avevamo in mente quando abbiamo cominciato il lavoro. L’importante è essere umili nell’osservare lo svolgimento della propria manualità, che si è acquisita nel tempo. È come un pianista quando suona. Ormai non ha la musica nella testa, ma ce l’ha nelle mani. Bisogna essere capaci, nell’atto presente, di lasciar scorrere le mani e la musica poi va da sé. Così come anche la pittura. Quando si riesce a raggiungere un tempo di presenza, lo chiamo così, si possono avere dei risultati di bellezza estetica, ma sicuramente si provano delle sensazioni meravigliose di presenza. Non so come altro spiegarlo. Quando l’essere umano è presente, emana il proprio essere e quindi questo poi trasluce nell’opera.

LC: Nei primi anni del XX secolo lo stilista francese Paul Poiret, colse grande successo con le sue creazioni ricche di colori accesi e in contrasto, marcando la fine dei toni pastello in voga nell’arredamento e nella moda durante la seconda metà del XIX secolo. Oggi, in un mondo dove le novità si associano quasi esclusivamente ai campi tecnologici, la manualità di alto livello appartiene a pochi individui talentuosi. Qual è il vostro giudizio per rinnovare l’offerta di abbinamenti cromatici?

LS: Al giorno d’oggi per rinnovare l’offerta di abbinamenti cromatici, l’importante è mantenere un’armonia. Possono essere abbinamenti nuovi, ma non può mancare l’armonia. Può essere un’armonia ampliata, un’armonia nuova, ma non può essere casuale. Deve avere un’idea.
Quando una persona ha per tanti anni nella mano le cromie classiche, può anche cambiare e fare delle cose “più moderne”. Ha nel corpo l’armonia; ce l’ha nella mano e nel pensiero. Molto più semplice è parlare di un musicista che ha studiato musica classica e che è legato a dei canoni armonici classici. Può uscire e cambiare. Ma l’idea insita in sé è che ha già la sua armonia.
Il problema è quando non hai armonia. Se non ce l’hai, puoi imitare da fuori il classico, ma illudi chi non sa vedere e soprattutto chi non sa sentire. I colori si sentono oltre che vederli. La vista è più ingannabile, ma il sentire non lo è mai. Le cose armoniche si sentono.
Puoi cambiare, usando dei colori più sintetici. Al giorno d’oggi ci sono tantissime nuove tecniche, tantissimi nuovi colori, che aiutano anche, però devi avere un’armonia legata alla tua interiorità. Se ce l’hai, funziona. Se non ce l’hai, sei un imitatore e basta.

LC: Si diceva che il pittore Rembrandt desse vita alle sue famose ombre dalle sfumature intense, raccogliendo e mischiando tutti i fondi dei colori sulla sua tavolozza. La sperimentazione è una parte essenziale della ricerca del colore. Come evolve l’approccio alla sperimentazione da generazione a generazione? Si basa su teorie di un bagaglio tramandato nel tempo oppure consiste in tentativi guidati dall’istinto?

LS: L’esempio di Rembrandt è interessante. È chiaro che lui aveva già una tavolozza e quindi questa era già di per sé armonica; chi dipinge lo sa. Raccogliendo tutti i colori di una tavolozza, mettendoli tutti insieme, di per sé si forma l’ombra di quello che hai usato, perché contiene tutti gli altri. Messi assieme, determinano lo scuro. Li contiene tutti. Non è uno scuro fatto a parte. È un esempio fisico: una tavolozza con dieci colori. Se mischi questi colori viene fuori l’ombra dei dieci colori.
Per quanto riguarda l’approccio da generazione a generazione, la sperimentazione è un modo di porsi nei confronti della vita. Non si sperimentano delle tecniche, ma si sperimenta un nuovo approccio con sé stessi; una sfida nuova. Non è l’uso esterno di una tecnica che si può acquisire, ma è sempre una consapevolezza, un mettersi in gioco. Quindi è una sfida che rivitalizza anche una giornata o un periodo. Fa sì che tu ti possa confrontare con una nuova sfida personale, pur mantenendo tutto il bagaglio che hai, ma provi ad essere qualcun altro. Questa è la vera sperimentazione. Se ci riesci bene; se non ci riesci va bene lo stesso perché ci hai provato.

LC: La vera qualità del Made in Italy risiede nell’estro creativo tipico del nostro paese. Ne conseguono le elevate abilità manuali. Con quale lessico si possono distinguere i colori creati da mani italiane rispetto a quelli di tradizioni in altre aree geografiche?

LS: Se andiamo avanti così la qualità del Made in Italy è destinata a scomparire in quanto l’enorme apparato di regole presente in Europa sta cercando di togliere la possibilità alle persone creative di esistere. Mi dispiace dirlo, ma per me è un dato di fatto. La creatività sarà sempre più ricercata, perché ce ne sarà sempre di meno.
La creatività è possibile all’interno di un contesto sociale che lo permetta. Non a caso il Rinascimento Italiano è un contesto preciso in cui qualsiasi cosa che si faceva in quel periodo era eccellente.
Si stanno ponendo le condizioni per eliminare quel contesto sociale in cui la creatività possa esistere. Ma è anche un nostro problema individuale.
Nella nostra area geografica, siamo anche fortunati, perché l’Italia ha un clima che cambia molto. È instabile. Al contrario, la stabilità climatica influisce tantissimo sia sulla necessità di proiettare questa stabilità da parte di chi ci vive sia sul fatto che si fa parte di un contesto stabile. Anche il clima in Italia è variabile. Ci sono tutte le stagioni. Sembra un discorso strano, ma il fatto che tu ti debba continuamente adattare, non ti permette di stabilizzarti. Devi cambiare. Sicuramente non è solo il clima che predispone noi italiani ad una genialità creativa. Anche la nostra innata voglia e consapevolezza di non sottostare a delle regole, perché siamo un popolo cosciente che la regola ci dà sicurezza, tranquillità, ma ci toglie lo scopo di vivere, che è quello di improvvisare tutti i giorni un nuovo. Noi siamo degli amanti di questo. Se lo togli, gli italiani sono morti. Se si vuole fare un’opera d’arte che rispecchi lo spirito dell’improvviso creativo, sicuramente l’italiano lo può fare meglio di altri.

LC: Come esponenti del design contemporaneo italiano, riconosciuto in tutto il mondo, se la vostra Milano fosse una carta, quali colori le conferireste e con quale tecnica li applichereste?

LS: Anche per uno stereotipo, una bella carta grigia non ci sta male. Ma, per sfatare un mito, il grigio è un colore difficilissimo da fare proprio perché, come dice la parola, è “grigio”. Tuttavia è molto interessante, perché è un nero con dentro del bianco. Ma il grigio bello contiene tutti i colori primari. Con una componente di uno o più dell’altro, il grigio è molto interessante. Uno pensa al grigio e pensa solo al bianco e nero. Non è così, perché bianco e nero diventano grigio-azzurro. Il grigio bello è quello che contiene i tre primari (giallo, rosso e blu) nelle varie graduazioni e poi può esporsi in una di queste. Inoltre è molto abbinabile a tanti altri colori proprio perché, se fatto bene, contenendoli tutti e tre nella misura giusta, sta bene con qualsiasi colore.
Quindi, trovo che Milano ci stia benissimo.
Con quale tecnica? In questo momento non mi viene in mente niente. Ci penserò!

È stato un grande piacere avere conosciuto il suo pensiero e il mondo di Fabscarte. La ringraziamo molto del suo tempo.

[ Fotografie, cortesia di Fabscarte Milano ]